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Sunday, August 2, 2009

THE TRUMAN SHOW



Truman Capote

La bellezza di Capote sta tutta nelle sue sfumature. I grigi freddi del Kansas, i colori caldi dell'alcool, gli occhi di ghiaccio di Philip Seymour Hoffman. Ma soprattutto l'anima del Genio.

Alla voce "personalità complessa" da oggi associerò una nuova figura: Truman Capote.

In questo film, che è un enorme, immenso monumento all'autore di New Orleans, emerge un personaggio nuovo, originale, difficilissimo da etichettare, impossibile da definire. Al di là della mastodontica dichiarazione d'amore del regista per Seymour Hoffman, quello che vien fuori è un modo nuovo di intendere la biopic hollywoodiana. L'anno scorso Martin Scorsese aveva tentato un'operazione simile con il non riuscitissimo The Aviator, operazione che quest'anno Bennett Miller (segnatevi questo nome) porta alla perfezione: descrivere un illustre personaggio non partendo dalle sue imprese o dalle tappe della sua vita, quanto piuttosto da piccoli eventi, piccole relazioni accidentali che in un breve lasso di tempo coinvolgono il protagonista.

La storia di Capote è quella della stesura del suo "romanzo-documento" A Sangue Freddo. Una vicenda che parte e si esaurisce proprio nel processo stesso di stesura dell'opera. Quello che il regista sottolinea non è la vita di un Genio (come per Ray ad esempio, dove si narrava dalla nascita alla morte), quanto come complessa sia la natura di quel Genio a partire proprio da un unico momento della sua vita.

E per quanto sia forte e profondo (o forse proprio in virtù di questo) l'amore di Miller per lo scrittore, quella che emerge è una figura difficile da amare, priva di appeal per lo spettatore, che è costretto a rimanere distante da un personaggio tanto urticante. Ma il distacco è forse necessario per comprendere un essere umano come il nostro Truman: un uomo che si ciba dell'anima altrui, che succhia avidamente la vita dagli altri, che con estremo cinismo si appropria con l'inganno di ciò che lo circonda. Un personaggio che cede ai sensi di colpa, ma che allo stesso tempo non può non commettere la colpa, che piange sulle sue sventure, solo dopo essersele provocate, che si lamenta su se stesso, e si ama e si odia con tale forza e spesso nel medesimo tempo.

Oltre a Capote, questo film è un tempio consacrato a Philip Seymour Hoffman. La sua performance è davvero stellare, di proporzioni epiche. Se non avessi ancora in testa il volto di Heath Ledger, direi senza dubbio che è l'attore dell'anno. Semplicemente ipnotico: ogni suo gesto, ogni movimento del volto, delle mani, il suo passo, le sue pose.. Stunning. Quello che posso dire è che mentre PSH ha potuto "imitare" un personaggio vero, con un'operazione perfetta ma che profuma molto di esercizio di stile (tra l'altro PSH è anche produttore della pellicola, quindi puzza molto di "vi faccio vedere io quanto sono bravo"), Heath Ledger ne ha dovuto creare uno partendo dal nulla..Quindi Go! Heath Go! sei ancora il mio preferito!!!

Il cast è in ogni caso terrific. Catherine Keener (anche lei candidata all'Oscar) è meravigliosa (come sempre), e con PSH forma una coppia tra le più belle e spiritose e complesse di quest'anno cinematico. Clifton Collins Jr si conferma un caratterista di razza.

Tecnicamente il livello è molto buono. La fotografia sgranata di Adam Kimmel si concentra soprattutto sui primi piani e su campi lunghissimi, sulle distese di grano (e di neve) della campagna statunitense, dando vita ad un'atmosfera molto fredda e luminosa. La ricostruzione degli anni 50/60 è buona, anche se conta molto di più la resa generale che la cura per il dettaglio.

Potentissimo l'adattamento di Dan Futterman, noto tra i teledipendenti (mi ci piazzo anche io, tranquilli) come fratello di Amy Brenneman in Giudice Amy: un esordio alla sceneggiatura che lascia veramente sperare alla grande (e meritatissima nomination all'Oscar). Tanto di cappello per una scrittura insolita, che evita i luoghi comuni (omosessualità, genio e sregolatezza, ecc ecc) e apre invece inattese finestre sia su temi che su toni diversi: dal tema della pena di morte, all'inchiesta giornalistica, l'arte, il cinema, la genesi dell'arte, l'artista come persona che allo stesso tempo nutre e si nutre dell'altro, il Genio, ma anche sprazzi di intelligente ironia o feroce violenza.

Il film è una delle opere più intelligenti e acute dell'anno, un inno non solo ad una persona, ma all'intero mondo che si nasconde dietro di essa. Forse troppo freddo per commuovere e coinvolgere davvero, ma fredda è anche la vita di chi sacrifica se stesso (e necessariamente anche chi lo circonda) per creare qualcosa di eterno.

 

VOTO: B



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